martedì 27 novembre 2012

YOUNG MAGIC



«Una rosa è una rosa e solo una rosa. Ma queste gambe di sedia sono gambe di sedia e sono anche san Michele e tutti gli angeli.»
(Aldous Huxley, Paradiso e inferno)


Per il loro album di debutto il collettivo Young Magic composto da Isaac Emmanuel, Melati Malay e Michael Italia abbraccia la scelta di un titolo evocativo: Melt, "Fondere", ha in sè la più completa e sfaccettata introduzione agli undici brani che compongono questo inquieto quanto suggestivo Lp, definito da Q Magazine come "L’unione dei battiti del mondo". 


Isaac e Michael sono australiani espatriati, Melati è indonesiano nativo: scrupolosi viaggiatori famelici d’ispirazione, visionari di suoni devoti a un ordine sacrale, fedeli a una cleptomania musicale imponente, scrivono i brani in maniera frammentaria lungo il tempo, inglobando, masticando e vomitando influenze dai luoghi più disparati in cui hanno registrato.


S’incontrano a Brooklyn nel 2007, trascorrono i successivi quattro anni adempiendo la loro vocazione gipsy. Migrano in Sud-America, attraversano l’Europa tenendosi stretti gli attrezzi di registrazione portatile e reinventando i rumori che tempestano il quotidiano. Gli strumenti classici sono accantonati, salvo brevi cameo. Benvenuto il tintinnio delle monete sul tavolo e lo squillo di telefoni e orologi, diventati parte integrante di un background musicale che fa dei suoni routinari uno tra i più interessanti picchi della sua eccentricità. Sintetizzatori, campionatori e pedali loop sono spontaneo prolungamento degli arti di Isaac, Melati e Michael, con cui diventano un ibrido, un unico essere pragmatico.

Nel febbraio del 2011 pubblicano sotto la direzione dell’etichetta discografica Carpark Records: in ogni brano si coniuga una molteplicità di generi che rende arduo il processo standard di etichettamento, liberandoli e al tempo stesso condannandoli a essere indefinibili, complessi mediatori di sensazioni elettriche che tramutano in disparate esplosioni d’arte, che siano musica, video, colonne sonore o installazioni, gli Young Magic mirano alla forma, al beat perfetto.

Sono in salotto, abbasso le tapparelle e spengo la luce. Dalle casse del computer esplode un lamento timido, insicuro, quasi impacciato. Alzo il volume nel momento stesso in cui la musica si evolve e muta carattere: prendono forma ritmi serrati, superbamente alternati alla calma; Sparkly e Slip Time inaugurano un viaggio lungo trenta minuti attraverso quelle che Aldous Huxley definirebbe "Le porte della percezione"




You with air assume i connotati di un cantico mistico: soggioga con una base insistente, travolge con una cantilena ripetitiva che perpetua sessualità, erotismo; introduce quella preghiera sciamanica che è Yalam, 1 minuti e 56 secondi in cui è riassunto il desiderio del gruppo di mirare a "Un’esplorazione nel subliminale, alla ricerca del sublime", come rilasciato dagli stessi in un’intervista.

Il trio tiene stretta la presa a uno stile musicale ampio, molto ampio, fin troppo: fa eco negli stili più diversificati annullandone i confini. Lascio che la testa e le spalle seguano l’andamento di Night In The Ocean, mi faccio trasportare.

L’intro di The Dancer concede un momento di estraneazione da quello che diventa il ritmo decisivo, un battito croccante, aggressivo.  A gran voce rimbombano sonorità tribali africane che fanno da sfondo al lamentevole richiamo di una voce angosciata e seducente.  A seguire c’è Cavalry, la perfetta premessa onirica a Sanctuary, un brano sognante, morbido, in cui si fa largo un trip-hop tenue, addomesticato.

Con Drawning Down The Moon s’interrompe un nostalgico viaggio vissuto per osmosi.

Continuo a impostare repeat, ma non mi basta, ascolto l’album ancora una volta.  La sensazione è quella d’aver letto un diario di viaggio intrinseco di domande, di segreti che gli autori hanno intenzionalmente voluto celare, lasciando all’occasionale spettatore un rimando di carnale irrequietezza.

Riapro le tapparelle, s’è già fatto buio fuori. Mi appoggio alla finestra, la luce della stanza rimanda al riflesso sul vetro; mi ci perdo e mi viene da pensare: se campionatori e Young Magic fossero già esistiti nel1956, chissà cos’avrebbe scritto Aldous Huxley ascoltando Melt mentre era in botta da mescalina.

Ciò che è certo è che se potessimo scegliere la tracklist dei nostri sogni, o incubi, non avrei alcun dubbio:  Melt entrerebbe di diritto nella colonna sonora della mia non-esistenza rem.

QUI potete ascoltare l'intero album in streaming.