KINDNESS
Taglio
la notte invernale in bicicletta, arrancando al Molo 18 di Torino.
L’aria lungo il Po è gelida e le guance si bagnano di lacrime che
nascono per il troppo freddo. Parcheggio il bolide e noto con sospetto che
nessuna luce è accesa, non c’è anima viva intorno a me, tutte le entrate
sembrano sprangate. No, dai, che abbia davvero sbagliato locale? Mi guardo attorno
cercando visi amici o semplici sguardi estranei di conferma.
Nel buio in
lontananza intuisco tre figure che si avvicinano, una coppia e un ragazzo con
cappellino da skater e pinocchietto alla Blink, mi fa ‘ciao’ con la manina.“Scusa, è qui il concerto di Kindness?”, ricevo un “What?”
come risposta. Do un cinque mentale alla zia fortuna, mi aggrego alla crew
dell’artista ambient funk e scambio due parole con Joe, tuttofare della band,
sfoggiando un inglese da video tutorial di John Peter Sloan.
Camerino, massì scrocchiamo sia l’entrata che del vino, comincia
il sound check. Poche persone sotto il palco, forse é ancora troppo presto, il
batterista arriverà in ritardo. Purtroppo il numero dei presenti non subirà un
picco in ascesa. Ogni membro della band
è in postazione: coriste in coordinato con infinite gambe fasciate da pantaloni
di pelle, batterista pervenuto, Adam Brainbridge riempie la stanza con le ballate
atmospheric di Cyan.
Per i muri del Molo vibra la rotondità del basso che si fa
largo tra le parole della canzone. Inaspettatamente Adam scende dal palco e
iniza il tour dei presenti a cui avvicina il microfono: “Hi! What’s your
name?”, tra sorrisi imbarazzati e strette di mano, s’instaura una corposa atmosfera
da salotto.
Nonostante il discreto riscontro della serata, non c’è
disagio nei gesti di Adam: esce di scena e ritorna armato di ombrello rosso; da’
il via ad un’interpretazione di Doigsong arricchita di piroette e vaghe mosse alla
Marcel Marceau. La sua voce saturata scandisce un riverbero per tutta la stanza
intonando Swinging Party, le coriste collaborano a pieno regime nel completare
un’esecuzione che raggiunge il surreale quando decide di spostare a centro
palco un divanetto bianco.
Pupe sedute sui braccioli laterali, Adam è al centro del
sofà: eppure manca qualcosa. Scende nuovamente per recuperare tre ignari
spettatori, tra cui la sottoscritta, che piacevolmente sorpresi e il giusto
imbarazzati, diventano parte integrante della scenografia.
Gee Up, That’s alright, House. Il live conclude con Gabriel, cover di Roy Davis, pioniere dell’house di Chicago. Sette pezzi vivi, intensi ed energici, arricchiti da una cornice di croccante eleganza e frizzanti sfumature vintage; il perfetto connubio di un’artista che sotto un’invidiabile cascata di capelli recita cosciente:“World, you need a change of mind”.
Gee Up, That’s alright, House. Il live conclude con Gabriel, cover di Roy Davis, pioniere dell’house di Chicago. Sette pezzi vivi, intensi ed energici, arricchiti da una cornice di croccante eleganza e frizzanti sfumature vintage; il perfetto connubio di un’artista che sotto un’invidiabile cascata di capelli recita cosciente:“World, you need a change of mind”.
Video del live al Molo 18: