venerdì 29 giugno 2012

VADOINMESSICO
Sotto le luci della ribalta londinese, Giorgio Poti (Italia) Salvador Garza (Messico) e Stephan Miksch (Austria) tra jacket potatoes e fish&chips fondano i Vadoinmessico, a cui si aggiungono Alessandro Marrosu (Italia), e Joe White (UK).

Accomunati dalla passione per il folk psichedelico, nascono i primi testi di Giorgio, avvalsi di una notevole (quanto rara) qualità di stesura: i riflettori sono puntati su tematiche un po’ nostalgiche, di storie passate, amori non consumati. 

Il loro album d’esordio è “Archaeology of the future”, pubblicato il 6 Marzo 2012 sotto la PIAS per la regia di Craig Silvey (Arcade Fire, The Horros e Arctic Monkeys,): il risultato sono 13 brani dai suoni dolcissimi, pastellati, caldi e un po’ allucinogeni. L’uso di banjo e pedal steel guitar (conosciuta anche come ‘chitarra hawaiana’) trascinano tra percussioni che ricordano i Mumford and Sons, Naked and Famous o Caribou.
Con ‘Archaeology of the future  mille campanelle riempiono la stanza, mentre fanno eco suoni squillanti ritmati da battiti di mani, tamburi. Il distacco tra le strofe e il ritornello è impercettibile, tutto si sussegue liscio come un mojito nelle calde sere d’estate. Un’ottima partenza.
Pepita, queen of the animal’, ‘Teeo’, ‘In spain’ trascinano in un’atmosfera da festa sudamericana mentre ’The adventure of a diver’, più angosciata, cupa, fa emergere i toni malinconici che anticipano ’Me,desert’, inquietante traccia di 1:27 con Carmelo Bene in sottofondo, la quale da il giusto stacco inaspettato tra la prima e la seconda parte del cd, preparando a un’altra ondata di suoni positivi, morbidi, colorati. 
Con ‘Fleur le tue’ nasce un parallelo con i Phoenix, ’Notional towns’ alza la percentuale dei ritmi rockabilly, spezza il ritmo e sonda il terreno per ‘The colours are strange’, dove la voce ha il sopravvento sulla parte strumentale, entra in scena il tocco country e vengono sfiorate punte di synth pop.
Pond’ è un continuo cambiare rotta ritmica, ’Solau‘ adotta una veste più acustica, rievoca atmosfere da rito tribale: in un attimo siamo dall’altra parte dell’emisfero mentre assistiamo ad una cerimonia tossica per graziarsi il dio della pioggia. 
Archaeology of the future è un album che delizia orecchie, occhi e palato. 13 brani da mangiare in un boccone, famelici, insaziabili.


Bisogna fare di sé dei capolavori. Io ho trovato da molti anni, da molti millenni dentro di me il deserto". 
Carmelo Bene

mercoledì 27 giugno 2012


DRINK TO ME  

"No,
we're not,
we're doing the best we can
we're wide awake and we're working on the future days
we are the people that have no hopes
there's no nostalgia nor anticipation at all
we hate, we smile and we're beautiful
no revolution was ever made with love"



“Se cerchi qualcosa che ancora nessuno in Italia ha fatto in questo modo, ascolta "S" dei Drink to me! Siamo convinti che l'elettronica non sia qualcosa di freddo e pulito. Che una band rock non debba essere per forza "tosta" e spaccona. Abbiamo creato un suono che stimola il palato (un suono "da mangiare"), ritmi e melodie che creano dipendenza pari solo all'eroina”.
QUI, per leggere l'intervista su Rockit.


Definiti da Rolling Stone "Una delle migliori band italiane", giudizio largamente condiviso dalla critica, i Drink to me hanno tutte le carte in regola per poter essere confusi con band provenienti da background internazionali di musica sperimentale avanzata, senza limitazioni in tentativi all'avanguardia, senza pressioni per un adattamento commerciale.
(Pronuncia maccheronica dell'inglese a parte).

I Drink to Me sono Marco Bianchi, Carlo Casalegno, Francesco Serasso e Roberto Grosso Sategna. Arrivano dalle immediate vicinanze di Torino (Ivrea), e nonostante siano in scena dal lontano 2002, apparentemente hanno ancora marchiato in fronte la targhetta di 'emergenti'.

Nel loro scatolone delle cose già fatte hanno ben 4 EP autoprodotti, un 7'' e 3 album:

'Don't Panic, go organic' pubblicato nel 2008 da Midfinger Records, è stato registrato a Londra e mixato da Andy Sapori, che ha curato artisti come Blonde Redhead, Yeah Yeah Yeahs, The Killers, The Horrors; 

'Brazil', nel 2010, dopo essersi inseriti nella famiglia Records UNHIP, una delle principali etichette italiane indipendenti;

e infine quello che considerano il loro capolavoro, 'S', dal titolo criptico.


E' un album leggero ma cosciente, dagli arrangiamenti che scatenano immagini psichedeliche, positive, legate a testi di spessore trascendentale.

"...'S' è quella cosa che sta nello stomaco. E che connette il tuo stomaco a un luogo che sta a miliardi di anni luce da qui".


  Drink to me - S by drinktome




Il video ufficiale del primo singolo estratto da 'S', diretto da Luca Lumaca e pubblicato in anteprima su Wired.it
Dall'8 giugno è su youtube il video di Disaster Area.

martedì 26 giugno 2012

Ti piacciono i Black Keys ma che il batterista Patrick Carney assomigli così tanto a Pernazza degli Ex-Otago (il coniglio rapper del Chiambretti Night, per i più) ti confonde e ciò ti scazza?
Sei un fervido amatore dei successi cinematografici dagli scenari crudi, secchi, vincitori di Oscar, Grammy e Golden Globe (senza considerare gli altri)? 
(Vedi ‘Il Petroliere’)
Desideri l’unione delle due cose in un solo grande risultato tutto italiano, da buon sostenitore del made in Italy?
La soluzione esiste e ha il sapore amaro delle ballate un po’ sofferte, un po’ drogate. 
 Loro sono i There Will Be Blood (Davide Paccioretti, Mattia Castiglioni e Riccardo Giacomin), frutto italiano dell’eredità del noise rock americano, del blues, del garage.
Sono un trio di Varese (due chitarre e batteria) nato nel 2009 e che dal 2010 infiamma i palchi dei maggiori festival blues del nord Italia.
 Dopo il primo EP intitolato “Prologue”, che da’ l’avvio al percorso di un fantomatico “protagonista in ricerca della propria redenzione”, eccoli in un concept album completo tutto autoprodotto che accompagna il personaggio dell’Ep nel susseguirsi di sfortunati eventi: Wherever you go, there will be blood: ovunque andrai scorrerà del sangue.”
 La voce graffiata di Davide Paccioretti, a volte strascicata, altre sussurrata, ti ricorda che esiste una scena italiana che nulla ha di che invidiare ai maggiori nomi dell’hard rock mondiale. 
Questo, oltre a farti rizzare i peli dal fremito erotico che solo il violento gusto del rock un po’ country sa dare.
 Dalla strumentale ‘Coyote’, ottimo inizio per sondare il terreno, alla trascinante ‘Stomp or Fall’ con il suo giro di chitarra irruenta, i cori di battiti di mani e il ripetersi di ‘Everybody c’mon, clap your hands now’, che ti obbliga a seguirli in un delirio scalcitante, sino a ‘Black Rain’, che ti catapulta in scenari degni dei Kings of Leon.
 Riporta alla mente ricordi mai vissuti di spazi deserti infiniti, polverosi, aridi di vita ma generosi donatori di visioni e percezioni alterate. 
"And oh, mister heavenly
Where can a man go when he needs to sleep
For a hundred years
Before his heart feels restless?"


A discapito del nome i Mister Heavenly hanno ben poco di candido o celestiale: prendi un rock educato ma con la giusta dose di sporcizia, cattiveria e volgarità, aggiungici un ottimo compromesso pop e il risultato è a portata di casse.

Senza scordare che si tratta dell’unione dei crani di Ryan Kattner (Man Man),Joe Plummer (Modest Mouse) e Nick Thorburn (Islands / The Unicorns), che alla corte dell’etichetta Sub Pop Records (spodestata per fama da nomi come Emi o Warner Music, ma seconda a nessuno per artisti che promuove), si sono lanciati in un progetto tutto loro.

Hanno definito ‘Doom Wop’ l’incontro dei loro vari background musicali (dove ‘doom’ sta per ‘sorte, condanna’ e ‘wop’ è il termine americano denigratorio per riferirsi al cosiddetto ‘guappo’), un modo sardonico per intendere l’unione dei ritmi doo-wop dei Man Man col pop degli Islands e i ritmi incazzati deiModest Mouse.

La resa live è arricchita dalla presenza turnista dell’icona cinematografica -un po’ sfigata- Micheal Cera che, dopo averci abituati a personaggi come Paulie Bleeker (Juno), Scot Pilgrim (Scot Pilgrim vs the World) e Nick Twisp(Youth in revolt), rende complicato immaginarselo sul palco in veste di bassista/rocker/tombeur de femmes.

Senza farsi intimidire dalla recensione poco entusiasta di PitchforkOut of Love è un album da far scoppiare la testa a botte di repeat. E’ ciò che si va cercando se si vuole una nuova dipendenza musicale, se piacciono i brani efficaci senza essere pretenziosi, arricchiti a tratti da sonorità un po’ reggae, un po’ hawaiane con cenni di R’n’R anni ‘50, inaspettate seconde voci distorte che sopraggiungono, straniscono ma che alla fine convincono. Senza neanche troppa fatica.

Qui il link dell'album completo in stream su youtube

Tracklist:
01. Bronx Sniper
02. I Am a Hologram
03. Charlyne
04. Mister Heavenly
05. Harm You
06. Reggae Pie
07. Pineapple Girl
08. Diddy Eyes
09. Hold My Hand
10. Doom Wop
11. Your Girl
12. Wise Men

Chicca: i rozzi, fecali e scorretti skaters coinvolti nel video di Bronx Sniper sono i Man Wolfs, nonchè protagonisti di Machotaildrop, bizzarro film visionario sul mondo dello skate, diretto da Corey Adams e Alex Craig; questi, geniali interpreti della scena cinematografica indie, lo hanno realizzato dopo aver vinto il FUEL Tv Experiment con il cortometraggio "Harvey Spannos" ed essersi aggiudicati $1,000,000 per realizzare un lungometraggio.


domenica 24 giugno 2012

«Facciamo musica classica con roba distorta e scombinata».


Nome: Austra 
Provenienza: Toronto
Anno di formazione: 2009
Influenze: Bjork, PJ Harvey, Nine Inch Nails, Owen Pallett, The Knife, Nina Simone, NIN, Tori Amos, Fever Ray, Juan Atkins, Giorgio Moroder, Diamanda Galas, Hercules and Love Affair.


Dopo aver scoperto che il nome 'Private Life' era già utilizzato da un'altra band in circolazione, Katie Stelmanis, Maya Postepski e Dorian Wolf optano per il secondo nome della cantante stessa: gli 'Austra' (che, secondo la mitologia lettone, designava la Dea della luce) durante il tour condividono il palco con le gemelle Sari e Romy Lightman e Ryan Wonsiak.
Definiti diverse volte come "freddi", "controversi", "ambigui", alternano (volontariamente, o anche no) una presenza calda, a volte etnica dai toni stregoneschi, a un'identità musicale più distaccata qual è l'elettronica, un po' insofferente, un po' intollerante. Una realtà degna di confrontarsi con grandi nomi nordici (svedesi in particolare).

La caratteristica contrapposizione dell'impronta lirica della Stelmanis alle sonorità elettroniche, ha il sopravvento sui continui cambi di rotta ritmica dei brani: "Quando ero al liceo ero ossessionata dall'Opera. Ho amato le tragedie, il dramma che contengono. Nei miei anni del liceo ho trascorso un sacco di tempo ad ascoltare compositori del XX secolo, come Puccini e Debussy, che scrisse prevalentemente in chiave minore", come racconta in un'intervista a thequietus.com.

"Feel it break", album d'esordio del trio canadese, adegua alla perfezione gli influssi culturali e musicali più eccentrici. Sprigiona immagini pagane e mistificatorie, accompagna visuali tetre, cupe ma improvvisamente interrotte da una convincente armonia positiva e ottimistica.
Affezionati agli austeri quanto sognanti falsetti della Stelmanis, ogni brano vanta un creativo compromesso tra musicalità classiche, antiche, e ritmi incalzanti da dancefloor. 
Anche se a tratti un po' ripetitivo e annoiato, è un album che colpisce al primo ascolto, condannando a tatuarsi su ogni fibra cerebrale questo concatenarsi di ballate già sentite, ma senza essere banali.

Tracklist:


  • Darken Her Horse
  • Lose It 
  • The Future 
  • Beat And The Pulse 
  • Spellwork
  • The Choke
  • Hate Crime 
  • The Villain
  • Shoot The Water
  • The Noise
  • The Beast

  • 30 Maggio 2012 @ sPazio 211, Torino 
    "VOGLIO MORIRE".
    Questo, il mood con cui quel giorno mi sono diretta allo sPazio 211 per assistere al concerto degli Austra, in tutta la loro tecnica impeccabile e tonicità da palcoscenico.
    Il merito di un così contagioso entusiasmo lo si deve all'ironia della sorte (aka un paio di discutibili organizzatori d'eventi), che ha voluto la stessa sera, in locali diversi a Torino, i conterranei Austra e Grimes: per chi conosce quest'ultima, sa con quanta difficoltà i fanatici della musica 'indefinibile' ritmata da voci puerili, femminili, stridule il giusto, siano stati costretti a scegliere. 
    Per tutti gli altri, basti sapere che Grimes è solo l'appena 24enne faccia da cazzo più blasonata della musica degli ultimi tempi, definita da Tastemaker Magazine come un "alieno figlio dell'amore di Aphex Twin e ABBA".

    Tornando agli Austra, la definizione "cheap and chic" gli è dovuta, dove con "cheap" mi riferisco all'esiguo prezzo del biglietto rispetto ad uno spettacolo di tale portata; e non mi rifaccio esclusivamente all'intrattenimento musicale, ma anche alle incredibili capacità danzerine della Stelmanis e delle gemelle (Romy in particolare), un misto tra "il ballo della gallina nuda" ('Scrubs' docet), un tipico rito vodoo di qualche tribù indigena e le suadenti movenze del vigile urbano.

    Austra - Lose It @ sPazio211

    Il primo assaggio di caldo estivo non ha scoraggiato le numerose persone che, aspettando nella zona esterna del locale fino all'entrata in scena del gruppo, si sono poi ammassate intorno al palco, armate di birra.
    Come da routine ormai, ho raggiunto la mia semper fidelis postazione laterale: via la giacca, spazio allo smanicato e libero sfogo alle braccia che, così come la testa, non possono non seguire l'andamento lisergico e ondulante della voce per poi interrompersi, improvvisamente, e seguire quello ferreo e incalzante della base elettronica.

     "Freed from the beat and the pulse… playing for the heart and the soul"

    Che la cultura elettronica dell'Europa del Nord fosse una garanzia era già una certezza, ma dal grande Canada,  tra foglie d'acero, castori ed alci, si sta facendo largo qualcosa di estasiante e completamente nuovo.

    O quasi.