«Una rosa è una rosa e solo una rosa. Ma queste gambe di sedia sono gambe di sedia e sono anche san Michele e tutti gli angeli.»
(Aldous Huxley, Paradiso e inferno)
Per il loro album di
debutto il collettivo Young Magic composto da Isaac Emmanuel, Melati Malay e Michael Italia abbraccia la scelta
di un titolo evocativo: Melt, "Fondere", ha in sè la più completa e sfaccettata
introduzione agli undici brani che compongono questo inquieto quanto suggestivo
Lp, definito da Q Magazine come "L’unione dei battiti del mondo".
Isaac e Michael sono australiani espatriati, Melati è indonesiano nativo: scrupolosi viaggiatori famelici d’ispirazione, visionari di suoni devoti a un ordine sacrale, fedeli a una cleptomania musicale imponente, scrivono i brani in maniera frammentaria lungo il tempo, inglobando, masticando e vomitando influenze dai luoghi più disparati in cui hanno registrato.
Isaac e Michael sono australiani espatriati, Melati è indonesiano nativo: scrupolosi viaggiatori famelici d’ispirazione, visionari di suoni devoti a un ordine sacrale, fedeli a una cleptomania musicale imponente, scrivono i brani in maniera frammentaria lungo il tempo, inglobando, masticando e vomitando influenze dai luoghi più disparati in cui hanno registrato.
S’incontrano a Brooklyn
nel 2007, trascorrono i successivi quattro anni adempiendo la loro vocazione gipsy.
Migrano in Sud-America, attraversano l’Europa tenendosi stretti gli attrezzi di
registrazione portatile e reinventando i rumori che tempestano il quotidiano. Gli
strumenti classici sono accantonati, salvo brevi cameo. Benvenuto il tintinnio
delle monete sul tavolo e lo squillo di telefoni e orologi, diventati parte
integrante di un background musicale che fa dei suoni routinari uno tra i più
interessanti picchi della sua eccentricità. Sintetizzatori, campionatori e
pedali loop sono spontaneo prolungamento degli arti di Isaac, Melati e Michael,
con cui diventano un ibrido, un unico essere pragmatico.
Nel febbraio del 2011 pubblicano
sotto la direzione dell’etichetta discografica Carpark Records: in ogni brano si coniuga una molteplicità di generi che rende arduo il
processo standard di etichettamento, liberandoli e al tempo stesso condannandoli
a essere indefinibili, complessi mediatori di sensazioni elettriche che
tramutano in disparate esplosioni d’arte, che siano musica, video, colonne
sonore o installazioni, gli Young Magic mirano alla forma, al beat perfetto.
Sono in salotto, abbasso
le tapparelle e spengo la luce. Dalle casse del computer esplode un lamento
timido, insicuro, quasi impacciato. Alzo il volume nel momento stesso in cui la
musica si evolve e muta carattere: prendono forma ritmi serrati, superbamente
alternati alla calma; Sparkly e Slip Time inaugurano un viaggio lungo trenta
minuti attraverso quelle che Aldous Huxley definirebbe "Le porte della
percezione".
You with air assume i
connotati di un cantico mistico: soggioga con una base insistente, travolge con
una cantilena ripetitiva che perpetua sessualità, erotismo; introduce quella
preghiera sciamanica che è Yalam, 1 minuti e 56 secondi in cui è riassunto il desiderio
del gruppo di mirare a "Un’esplorazione nel subliminale,
alla ricerca del sublime",
come rilasciato dagli stessi in un’intervista.
Il trio tiene stretta la
presa a uno stile musicale ampio, molto ampio, fin troppo: fa eco negli stili
più diversificati annullandone i confini. Lascio che la testa e le spalle seguano
l’andamento di Night In The Ocean, mi faccio trasportare.
L’intro di The Dancer concede
un momento di estraneazione da quello che diventa il ritmo decisivo, un battito
croccante, aggressivo. A gran voce
rimbombano sonorità tribali africane che fanno da sfondo al lamentevole
richiamo di una voce angosciata e seducente.
A seguire c’è Cavalry, la perfetta premessa onirica a Sanctuary, un brano
sognante, morbido, in cui si fa largo un trip-hop tenue, addomesticato.
Con Drawning Down The
Moon s’interrompe un nostalgico viaggio vissuto per osmosi.
Continuo a impostare
repeat, ma non mi basta, ascolto l’album ancora una volta. La sensazione è quella d’aver letto un diario
di viaggio intrinseco di domande, di segreti che gli autori hanno intenzionalmente
voluto celare, lasciando all’occasionale spettatore un rimando di carnale irrequietezza.
Riapro le tapparelle, s’è
già fatto buio fuori. Mi appoggio alla finestra, la luce della stanza rimanda al riflesso sul vetro; mi ci perdo e mi viene da pensare: se campionatori
e Young Magic fossero già esistiti nel1956, chissà cos’avrebbe scritto Aldous
Huxley ascoltando Melt mentre era in botta da mescalina.
Ciò che è certo è che se
potessimo scegliere la tracklist dei nostri sogni, o incubi, non avrei alcun
dubbio: Melt entrerebbe di diritto nella
colonna sonora della mia non-esistenza rem.
QUI potete ascoltare l'intero album in streaming.
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